Sicurezza, Qualità e Privaci in azienda

mercoledì 13 gennaio 2016

IL FUMO PASSIVO NEI LOCALI PUBBLICI

È stato stimato che nell’Unione europea circa 7.300 adulti, di cui 2.800 non fumatori, sono deceduti nel 2002 a seguito dell’esposizione al fumo di tabacco presente negli ambienti di lavoro; per i lavoratori del settore della ristorazione che lavoravano in locali in cui era possibile fumare, il rischio di carcinoma polmonare risultava superiore del 50% rispetto ai lavoratori che non erano esposti.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il controllo del fumo di tabacco è il più importante intervento che un paese possa promuovere per migliorare al tempo stesso la salute dei propri cittadini e i conti della spesa sanitaria ed è considerato una priorità a causa dei dati d’incidenza delle patologie fumo-correlate. Già il Piano Sanitario Nazionale 2006-2008 aveva incluso il fumo tra i parametri di rischio delle grandi patologie (tumori, malattie cardiovascolari, diabete e malattie respiratorie) individuando lo sviluppo di programmi multisettoriali di contrasto al tabagismo, in linea con le indicazioni dell’OMS e dell’Unione Europea, che auspicavano la prevenzione del fumo tra i giovani, il sostegno alle politiche di tutela dal fumo passivo e il supporto alla disassuefazione. In coerenza con il Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018, la realizzazione di ambienti di lavoro liberi dal fumo risponde agli obiettivi di trasversalità degli interventi tra i diversi settori, istituzioni, servizi, aree organizzative, anche in considerazione dell’individuo e della popolazione in rapporto al proprio ambiente, e rientra tra le azioni e strategie evidence based determinando minor consumo di sigarette tra i fumatori e riducendo la prevalenza dei fumatori e dei sintomi respiratori tra i lavoratori. Inoltre, anche negli ambienti di lavoro è possibile promuovere azioni di sostegno e di monitoraggio per l’applicazione dell’art. 51 della L. 3/2003, attraverso una costante informazione accompagnata da interventi educativi/dissuasivi rivolti ai fumatori.
Il fumo passivo è stato classificato come agente cancerogeno noto per l’uomo dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti nel 1993, dal Dipartimento della sanità e i servizi sociali degli Stati Uniti nel 2000 e dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’OMS nel 2002. Recentemente, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente della California ha classificato il fumo di tabacco un inquinante tossico dell’aria.
Inoltre, è stato classificato come agente cancerogeno sul luogo di lavoro dai governi finlandese (2000) e tedesco (2001).
A livello europeo ancora oggi, però, il fumo passivo (assimilabile a una miscela di più sostanze) non è classificato come preparato cancerogeno, in base alla Direttiva sui preparati pericolosi (1999/45/CE), nonostante il Parlamento Europeo abbia invitato nel 2005 la Commissione delle Comunità Europee a presentare una proposta di modifica del quadro legislativo vigente al fine di classificare il fumo ambientale da tabacco come cancerogeno sui luoghi di lavoro.
Nel Libro Verde della Commissione delle Comunità Europee si asserisce che i locali per fumatori chiusi, con impianti di aerazione separati, riducono solo in misura marginale l’inquinamento da fumo ambientale negli esercizi di ristorazione e in altri ambienti interni.

Quindi il solo modo efficace di eliminare i rischi per la salute derivanti dall’esposizione al fumo passivo sarebbe quello di vietare il fumo negli ambienti interni, come affermato dall’OMS e dall’ASHRAE nel 2005 e anche con il documento del 2010. Tra l’altro i locali riservati ai fumatori sono costosi, richiedono una complessa infrastruttura di ispezione e controllo, sono difficilmente realizzabili dai piccoli esercizi e quando sono in funzione spesso non rispondono ai requisiti stabiliti dalla legge, esponendo a sostanze nocive i lavoratori che in essi prestano opera [7].

Valutare il rischio del fumo da tabacco
Il Datore di Lavoro è tenuto ad assicurare la salubrità degli ambienti di lavoro e a proteggere la salute dei lavoratori prevenendo l’insorgere di patologie da lavoro, quindi la valutazione dei rischi in azienda deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (art. 28, comma 1 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.), compresi quelli che non derivano dai soli processi produttivi (es. presenza di fumo di tabacco).
In base all’art. 15 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, riguardano innanzitutto:
§  l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico;
§  la riduzione dei rischi alla fonte;
§  la limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono o che possono essere esposti al rischio;
§  la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
§  l’informazione e formazione adeguate per i lavoratori;
§  l’uso di segnali di avvertimento e di sicurezza.
Il fumo passivo è formato da agenti chimici pericolosi e deve essere incluso nella valutazione dei rischi in base al Titolo IX, Capo I del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.“Protezione da agenti chimici” e in particolare al comma 1, lett. b, punto 3 dell’art 222. Appare evidente la necessità di valutare i rischi per la salute dei lavoratori che potrebbero trovarsi, anche per brevi periodi, ad operare nei locali riservati ai fumatori tenendo conto della capacità di abbattimento dei fumi da parte dei sistemi di ventilazione, del numero di fumatori presenti, della quantità di tabacco fumato, del periodo di esposizione del lavoratore, ecc.
Come agente cancerogeno il fumo passivo ancora non rientra nella classificazione europea delle sostanze cancerogene di categoria 1 e 2 (anche se dal 2002 è stato riconosciuto dalla IARC come cancerogeno certo per l’uomo), quindi l’applicazione del Titolo IX Capo II “Protezione da agenti cancerogeni e mutageni” del citato decreto risulta non obbligatoria non essendo “il fumo passivo” neppure una sostanza prodotta durante un ciclo lavorativo o un preparato o un processo di cui all’Allegato XLII, o una sostanza o un preparato emessi durante un processo previsto dall’Allegato XLII dello stesso decreto legislativo. Tuttavia, è da considerare che dal 2008, sulla base della classificazione IARC, il tumore polmonare da esposizione a fumo passivo è stato incluso nella Lista I delle malattie professionali per le quali è obbligatoria la denuncia: “malattie la cui origine è di elevata probabilità – Gruppo 6: Tumori professionali” e che oggi è ancora incluso nel D.M. 10/06/2014. Quindi il Datore di Lavoro, in modo cautelativo, potrà fare una valutazione mirata e prendere le dovute precauzioni assimilando il fumo passivo ad un cancerogeno.
Infine, viste la normativa vigente che impone al Datore di Lavoro di ridurre al minimo l’esposizione ai rischi lavorativi, le evidenze della cancerogenicità del fumo di tabacco, la mancanza di livelli di esposizione sicuri, l’ingente spesa per i locali per fumatori (costruzione e manutenzione) e la politica europea, l’unica soluzione di tutela appare l’adozione di ambienti di lavoro liberi dal fumo al 100%, con il divieto di ingresso dei lavoratori nelle sale per fumatori finché i rischi per la salute non vengano abbattuti o ridotti a livelli irrilevanti per la salute.
Infine ricordiamo il parere interpretativo del Ministero della Salute – Dipartimento della Prevenzione e della Comunicazione (DCOM 0000705-P-17/06/2010) riguardo la sua Circolare del 17/12/2004 in tema di disposizioni in materia di tutela dal fumo passivo nei luoghi di lavoro (locali chiusi pubblici e privati dove è possibile adibire sale per fumatori e dove possono prestare servizio i lavoratori) indica che
… nei locali per fumatori, anche nelle situazioni sopra descritte che vedano la presenza temporanea di lavoratori, non possono in nessun caso essere previste attività che comportino la presenza continuativa di lavoratori, né che obblighino i clienti non fumatori all’accesso al fine di usufruire dei servizi offerti dalla struttura …”…omissis…”…la presenza di questi lavoratori deve essere temporanea e supportata dalla valutazione di tutti i rischi (in particolare di quello chimico) in base D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. anche se i locali rispondono ai requisiti di legge.


Fonte: Inail

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